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dimenticata in riva al mare, facendosi cullare volentieri dalle
trascorse altri nove da ufficiale in un’angusta casermetta
d’isole e canneti e, nel sole già caldo di un aprile memorabile, se
nebbie autunnali che avviluppano la laguna salmastra ingombra
sarebbe stato il suo destino. Dopo tre mesi terminò il corso, ne
ogni giorno, ancora. Non ci mise molto a comprendere quale
placida come un mare cristallino, morbida e indifferente come
sognato. ne tornò a casa e si dedicò a vivere com’era scritto e come aveva
nell’appuntamento con il sonno profondo. Fu a uno del gruppo
della gita a Casertavecchia, quello che cui era apparso
sotto le coperte e al risuonare della tromba sulle note del
silenzio, parecchi erano già devoti a Morfeo, sprofondati
girò e rivoltò a lungo sotto le coltri irreggimentate nel letto di
metallo, risvegliandosi spesso madido di sudore e con una frase
l’immagine di Andreuccio da Messina quasi come una Madonna,
che non bastò un sonno ristoratore per dimenticare la serata. Si
l’impeto che aveva attraversato anche quel giorno. Si ficcarono
era doveroso aprire un finestrino e, azionando con difficoltà la
provincia. Tempo dieci minuti e furono di ritorno, rientrando
neanche fosse una soffice neve che da un momento all’altro
avrebbe potuto planare come un velo su quell’umile periferia di
ridosso del contrappello che, come ogni sera, avrebbe spento
frantumando il silenzio che da ore e ore e ore vi si era depositato,
stridente manovella, il canto si sparse sulla campagna coltivata,
nella camerata fredda e poco accogliente proprio giusto a
buddista: che gli turbinava dentro fino allo stremo, quasi fosse un mantra “Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto!” Non erano solo i peperoni della trattoria, era Pasolini, Pier Paolo Pasolini in persona, che tornava a farsi vivo nel suo sonno, tormentandolo con l’apparizione del suo volto spigoloso mentre gli sussurrava all’orecchio la frase finale con la quale si chiudeva “I